I racconti di Antonio Petillo


LA FIAT 600

 

Quella Fiat 600 riusciva a contenere, oltre al guidatore, cinque giocatori “juniores”. Se erano “cadetti” ne poteva contenere anche sei. Di “allievi” sette e di “propaganda” nove. Ma la migliore prestazione, era della squadra “mini-basket”: dodici!! Il record, incontrastato, era eguagliato, sistematicamente, ogni due domeniche, in occasione delle partite esterne. Fin quando non fu aggregato alla squadra Cosimino. Che era l’unico ragazzino ad essere seguito dal babbo. Il resto ne facevano a meno, anche perché i genitori avevano ben altri problemi da risolvere. I giovani si comprimevano nell’abitacolo, compiaciuti e divertiti, come funghi in un barattolo, senza avere cognizione né riuscire a capire come fossero gravose le assenze dei familiari. All’auto venivano sostituiti gli ammortizzatori ogni anno. Mentre i ragazzi erano sempre gli stessi. Anche se un po’ cresciuti, di volta in volta. Quel gruppo fu portato avanti fino all’esplosione dell’auto, che non poté resistere ad una squadra juniores. Targata NA 580399 gli era rimasta in eredità dal padre, che era uno di quelli che non faceva mancare la sua presenza, anche se poi si assentò, definitivamente, quando lui compì l’età per la patente. Nei giorni d’allenamento l’auto restava a parcheggio perché il campo si trovava a due passi dai loro rioni. A quei tempi il loro campo era ancora nella scuola Moscati. La scuola del loro quartiere, che li teneva impegnati, nel progetto sperimentale, per tutta la giornata. Poi alla sera restavano ancora lì per gli allenamenti. 

La carrozzeria era di colore rosso. Ma non un rosso comune. Rosso pompieri. Si trattava realmente di una macchina dei vigili del fuoco, messa in commercio chissà per quale particolare circostanza. E non si poteva trovare un colore più azzeccato, per il compito che svolgeva. In ogni situazione d’emergenza: pronto soccorso, trasferte, trasporto palloni… sbucava lei. Naturalmente condotta dal solito “pompiere….”

Gli allenamenti della squadra erano sempre arricchiti da qualche imprevisto: che andavano da sassaiole arrivate da oltre il muro di recinzione, alle irruzioni di qualche “guappetiello” in erba, oppure semplici temporali che per loro erano diluvi. Frattanto i ragazzi si tempravano e crescevano, viaggiavano in 600 e vincevano contro tutto. A quei tempi Edoardo Bennato non si ascoltava ancora, di Pino Daniele neanche a parlarne. C’era la NCCP, ma era troppo impegnativa per loro che preferivano il basket degli “Harlem Globetrotters”, per i quali facevano l’impossibile per andare al loro spettacolo, che si teneva annualmente in città. Erano rimasti “incollati” a quello sport da quando avevano assistito a Partenope Napoli- Asti Saclà 80 69; grazie ai biglietti omaggio arrivati, chissà come, nella loro scuola. Molti anni dopo, l’auto rosso pompieri non ce la fece più. Era invecchiata e affaticata. Tristemente fu costretta a lasciare i giovani, con i loro tanti ricordi. Forse era stata più importante delle persone che li avevano circondato. Aveva sostituito i loro papà in tanti viaggi e trasferte. Li aveva accompagnati nella strada della loro passione, senza mai mancare né fermarsi una volta. Quando fu lasciata nel grande cortile dello scasso, molti giovani, forse per la commozione o per i tanti ricordi che affioravano in mente, giurarono d’averla vista piangere. Ma, tornati a casa, non furono creduti. Era certo, invece, che l’autovettura dava la stessa impressione di solitudine e abbandono degli “scarponi” di Van Gogh, dopo tanti anni di fatica… I giovani della squadra ebbero tutti una sorte sana e rigogliosa, e non mancarono di riconoscere, sempre, a quel veicolo, tutto ciò che aveva fatto per loro.

Racconto tratto dal libro di Petillo "Storie di basket vissuto" ed. Grafica del Golfo.