I racconti di Antonio Petillo: I GENITORI


I GENITORI Uno degli sport più praticati in assoluto, oltre al calcio e al basket, è il “genitore del giocatore”. Si tratta di una disciplina molto impegnativa che può avere inizio a venti, trenta o perfino a cinquant’anni; dipende da quando nasce il bebè. Ci sono “genitori del giocatore” che già dopo un mese di vita lanciano, nella culla del neonato, palloni di calcio, pallavolo, rugby, pallamano. Posizionandosi in attesa della respinta. Qualcuno più incauto, scaglia già palloni di basket. Ma per la pesantezza della sfera il bimbo sprofonda al piano di sotto lui, la culla e il materasso. Gli ex ciclisti si presentano fin da allora con biciclettine, borracce (col latte) e qualche milligrammo di “polverina” per migliorare l’ematocrito. Gli ex nuotatori, invece, inabissano il piccolo in alto mare, ma il disgraziato, anziché imparare a nuotare, impara a “bere” ritornando a galla con la pancia gonfia e il naso rosso. Si racconta, poi, che un ex pugile allenava a cazzotti il figlio di due mesi, ma fu rinchiuso in manicomio dietro denuncia di moglie e suocera. Chi pure perde la testa dietro il figlioletto di un anno è l’ex giocatore di basket che, nella pretesa di impedire al bimbo di “calciare” il pallone gli lega le gambe, costringendolo solo ad effettuare palleggi, passaggi e ball- handling. Verso i tre anni, applica canestri per tutta la casa; sugli armadi, lampadari, quadri e tutto quello che si trova verso l’alto. Spesso dopo la prima “schiacciatina” bisogna, recuperare il bambino da sotto ad una frana di mobili. L’unica faccenda che il papà svolge con piacere alla moglie è accompagnare il bambino al mini-basket; è sempre stressato tra corse in ufficio, traffico e palestra. Al primo canestro del figlio nel campionato “aquilotti” è di solito preso da malore, tant’è che il piccolo deve accompagnare il padre all’ospedale più vicino. I primi litigi con l’allenatore iniziano nei campionati successivi, durante i quali il “genitore” inizia a fare gli scout, lamentandosi dei pochi passaggi ricevuti dal suo “cocco”. E siccome sono tutti a fare il loro scout, spesso nascono delle gigantesche zuffe tra genitori, da fare invidia agli holigans più sfrenati. In questi casi, più che le forze dell’ordine solo l’intervento dei giocatori è utile a dividere i propri parenti. In ufficio il papà non fa altro che parlare delle prestazioni del figlio. E, siccome tutti i colleghi hanno i loro figlioletti, iniziano lunghi dibattiti su schemi, arbitri e impostazioni di gioco, tralasciando completamente il lavoro. Tant’è che ben pochi “genitori” scampano al licenziamento. Nel periodo Under 15, il “genitore del giocatore” è sempre impegnato con forbici, colla e pennelli nell’intento di assemblare gli scampoli di giornali sportivi con il cognome di famiglia. Ritagli che sono leggibili solo con la lente d’ingrandimento perché non più grandi di un francobollo. Succede nell’anno Under 17 che il “genitore” è preso dalla frenesia di portare il proprio “campione” a Bologna, Milano, Pesaro... Inizia così la guerra fredda col Presidente. Che viene risolta, quasi sempre, con l’acquisto, a peso d’oro, del cartellino del figliuol prodigio. Non sempre si riesce a fare un buon affare con l’acquisto dell’erede. Così l’incauto acquirente, sommerso da cambiali e pagamenti, è costretto a girovagare ovunque per piazzare il giocatore in erba. La carriera del “genitore del giocatore” spesso finisce quando il ragazzo, esausto, scappa con un’amabile biondina o una brunetta, dipende dal colpo di fulmine. E non ne vuole più sapere di palloni, biciclette, tuffi e cazzotti. Cosicché il papà, trovandosi vicino alla squadra, inizia a fare il genitore degli altri giovani. Il che lo fa stare meglio, anche perché, sicuramente, non li ha costretti lui a praticare quello sport. E poi il suo “uomo” non ha più bisogno di lui, quindi è più morale e di cuore offrirsi agli altri. Il racconto è tratto dal libro di Antonio Petillo: "storie di basket vissuto" edizione Grafica del Golfo.